Premio Internazionale Vincenzo Torriani | I Premiati 2019
21770
page-template,page-template-full_width,page-template-full_width-php,page,page-id-21770,ajax_fade,page_not_loaded,,select-theme-ver-3.8.1,wpb-js-composer js-comp-ver-7.0,vc_responsive
 

I Premiati 2019

AURO BULBARELLI

 

Nella vita, a volte, i sogni si avverano.
Un amore di gioventù sfociato nella vita professionale.

 

Auro Bulbarelli, classe 1970, ha respirato ciclismo sin dalla prima infanzia, frequentatore assiduo di casa Torriani dato che il padre, Rino, aveva affiancato a lungo il patron del Giro d’Italia nel ruolo di addetto stampa e di speaker, prima che lo chiamassero a dirigere “La Gazzetta di Mantova”.

 

Il giovane Bulbarelli è stato iniziato ben presto alle corse, a 19 anni lo stesso patron lo aveva ingaggiato per guidare in corsa un’auto ufficiale chiedendogli semplicemente se fosse dotato di patente. E quel debutto gli creò non poche ansietà, visto che guidare in corsa non è mai una passeggiata.

Del Giro d’Italia e non solo (le classiche di ciclismo, il calcio, la Formula 1), Auro ha scritto per anni sino a cominciare a raccontare in video, assunto dalla redazione regionale Rai della Lombardia, tutto il ciclismo che conta, dal 1996, a bordo di una moto al seguito, in qualità di inviato-telecronista. E si è distinto anche per le telecronache di biliardo, sua grande passione unitamente al ciclismo, suo grande amore.

 

Progressivamente Bulbarelli è diventato la prima voce del ciclismo, subentrando nel 2001 ad Adriano Dezan, vicino all’età della pensione dopo quasi cinquant’anni di inimitabili telecronache.

Bulbarelli ha avuto la capacità di non farlo rimpiangere, ben assecondato dall’opinionista Davide Cassani, e sino al 2009 i due hanno fatto coppia fissa, con grande soddisfazione del pubblico televisivo che ama il ciclismo.

 

La promozione a vicedirettore di Rai Sport nell’ottobre 2009 gli ha inibito il ruolo di telecronista, lo ha posto dietro a una scrivania, valorizzandone le capacità organizzative e decisionali. Non per caso Bulbarelli è divenuto direttore della Testata Sportiva, incarico che esercita dal novembre 2018.

 

Tre i libri sin qui al suo attivo, con citazione obbligata per la splendida biografia di Fiorenzo Magni e “Coppi per sempre” scritto con Giampiero Petrucci.

ANGELO FAUSTO COPPI

 

Ha saputo “portare” nome e cognome simboli della storia del ciclismo

senza rinunciare alla sua vita

 

Fausto Angelo Coppi, classe 1955, per tutti Faustino, figlio del Campionissimo e di Giulia Occhini, la Dama Bianca, entra nella memoria del ciclismo a partire dai suoi quattro anni, quando il destino lo privò del padre per un errore madornale dei medici, quando sarebbero bastate poche pasticche di chinino per rimediare a un attacco di malaria. Non a caso l’unico ricordo indelebile di Fausto bambino risale al giorno in cui trasferirono papà in ospedale in barella: «Davanti alla porta di casa mi disse “papo, fai il bravo, ubbidisci alla mamma”.

 

Faustino è un uomo riservato, timido, umile, molti lo avvicinano al carattere del Campionissimo. Abita con la moglie nella casa di Novi Ligure dove i genitori hanno vissuto, dove ogni cosa parla del Campionissimo: i suoi cimeli, le foto, le coppe, i trofei.

 

Anche se la vita lo ha portato a occuparsi di costruzioni, sollecitato da un grande tifoso di papà, Tarcisio Persegona, scomparso di recente, l’affetto per la bicicletta e il suo mondo si riflette nelle sue considerazioni: «Il ciclismo incarna la vita della mia famiglia e un po’ anche la mia. Il ciclismo per me è passione, ricordi: è soprattutto una questione di cuore».

 

Il cognome che porta non gli è mai pesato: «Chiamarmi Coppi è sempre stato un piacere e un onore, che evoca sentimenti, ricordi e ammirazione nelle persone che incontro. Molti di loro mi raccontano storie relative a papà, mi fanno partecipi del loro tifo e si stupiscono se li ringrazio. Spesso ne sanno molto più loro di quanto ne sappia io».

Anche per questo molto ha dovuto insistere il giornalista francese Salvatore Lombardo per convincerlo a scrivere un libro con le lettere che Faustino avrebbe, nel tempo, voluto scrivere al papà, all’uomo più che al campione.

 

Il libro “Un’altra storia di Fausto Coppi” nel 2017 è stato a lungo tra i libri più venduti in Francia dove Coppi è un mito come in Italia.

LETIZIA PATERNOSTER

 

Chi l’ha detto che a vent’anni non si può vincere
e conquistare il mondo?

 

Vent’anni compiuti il 22 luglio scorso, Letizia Paternoster, trentina di Cles, è una delle più concrete realtà del nostro ciclismo femminile.

 

Inizialmente dedita alla pista, dove ha mietuto una serie di allori europei e mondiali nell’inseguimento a squadre (da junior e da Under 23), sta emergendo anche come stradista: ha fatto suo con una volata imperiosa il recente Campionato europeo di Alkmaar, è stata titolare al Mondiale appena andato in scena in Gran Bretagna.

 

Letizia sta maturando in progressione, aiutata in questo dai tecnici che ne hanno tutelato la crescita: dapprima Stefano Franco nelle categorie giovanili, sin da allieva, ora da Dario Broccardo che le fa da allenatore, suggeritore e manager, senza dimenticare il ct azzurro Dino Salvoldi che è ben attento ai suoi miglioramenti in salita.

 

Al momento Letizia supera senza problemi i dislivelli non troppo lunghi e con pendenze non troppo accentuate: il fondo, oltre allo sprint, sono le sue doti migliori.

E pensare che al ciclismo è arrivata solo grazie alla sua determinazione, visto che i genitori – lui italo-australiano, lei trentina – non ne volevano sapere: la mamma insisteva perché la piccola Letizia facesse danza, il papà assecondava la moglie temendo che si facesse male.

 

Lei ebbe la meglio, quando aveva sei anni riuscì a farsi comprare una vera bici recandosi al negozio di Maurizio Fondriest. E tanto brigò finché l’ex-iridato di Renaix non la inserì nella squadra di ragazzini fondata in val di Non che porta il suo nome. Con annessa la prima bici da corsa.

 

La Paternoster è una ragazza italo-australiana di gentile aspetto, piena di brio, elegante, molto curata. Nel mondo del ciclismo ha portato una ventata di freschezza e di simpatia: in questo senso si è distinta nel gruppo, senza generare alcuna invidia, perché lei è come appare, non finge, non si atteggia.

PREMIO CUORE D’ARGENTO

MARINO VIGNA

 

Marino Vigna, classe 1938, oro olimpico a Roma 1960 nell’inseguimento a squadre su pista (con Arienti, Testa e Vallotto), una felice carriera da stradista – dal 1961 al 1967 con i colori di Philco, Legnano, Gazzola, Ignis e Vittadello – appena trentenne diventa direttore sportivo e per un triennio dirige Eddy Merckx in forza a Faema (due stagioni) e Faemino.

 

Dal 1977 al 1980 è commmissario tecnico della pista ed è componente della Commissione Tecnica FCI di cui diviene presidente nel 1981, carica che manterrà sino al 1986.

In Commissione Tecnica rientrerà nel 2000 per rimanervi sino al 2014.

 

E’ stato prezioso consigliere di Alfredo Martini durante 22 edizioni dei Mondiali professionisti.

Per quasi cinquant’anni ha rappresentato il marchio Bianchi in tutta Italia, distinguendosi per capacità commerciali e soprattutto signorilità.